L’auto, a volte, costituisce il perno su cui ruotano episodi che restano per sempre scolpiti nella memoria, diventando la protagonista di fatti a cui doveva restare estranea.
Nel nostro caso, un appuntamento galante viene ricordato, a distanza di anni, per un incidente, pur piccolo, che ha rovinato una serata, sulla carta, ricca di promesse amorose
Verso la metà degli anni Sessanta, soltanto i cosiddetti “figli di papà”, come venivano chiamati i giovanotti appartenenti a famiglie facoltose, potevano disporre della macchina, non importa se avuta in regalo o fosse l’auto di famiglia. Le distanze, piccole o grandi, per quei giovani guidatori non rappresentavano alcun problema, mentre per i figli dei meno abbienti costituivano un nodo difficile da sciogliere per l’inefficienza dei collegamenti ferroviari, che ancora dura. E, quasi sempre, essi erano costretti a rifiutare l’invito a una festicciola, se lontana da Cremona, organizzata da qualche compagna d’Università.
Al contrario, chi aveva già la macchina si trovava sempre nella condizione di poter partecipare all’evento, si svolgesse anche in quel di Verona, di Milano, di Pavia, di Parma o in qualche località del lago di Garda oppure d’Iseo. Tra coloro che possedevano l’automobile c’era anche il superfortunato che otteneva il permesso di recarsi all’Università automunito e ciò non faceva che aumentare le occasioni d’incontri galanti. Dalla città universitaria arrivare a Milano per partecipare a una festa era la cosa più semplice. Al piacere della danza, una volta arrivati, si univa il piacere della guida per arrivare. Era intuibile che il severo genitore non venisse messo al corrente della trasferta, illuso che il figlio trascorresse il suo tempo studiando.
A bordo della grossa berlina di famiglia, ottenuta dal padre in seguito al guasto dell’auto personale lasciata in officina a Cremona, partiamo una sera diretti a Milano. Al volante il mio amico, io seduto a fianco, con l’obiettivo di incontrare una bella ragazza cremonese, che studiava in collegio, alla quale era interessato. Sarebbe uscita portando un’amica. L’istituto aveva sede in una via a senso unico, resa piuttosto stretta dalle auto parcheggiate su entrambi i lati. Col macchinone ci fermiano davanti al collegio, il portone è ancora aperto e ben illuminato, nonostante fossero suonate le otto di sera. In quel preciso istante esce la madre della ragazza, un’amica di famiglia, che sicuramente avrebbe raccontato tutto. Pensando alle disastrose conseguenze e in preda al panico, l’amico innestò la retromarcia e diede gas sfiorando le auto parcheggiate di qua e di là. Fatte a ritroso alcune decine di metri, sopraffatto da una confusione totale, girò leggermente il volante dalla parte sbagliata e con la fiancata destra strisciò contro un bel numero di quelle auto in sosta. Sarebbe bastato indietreggiare di un paio di metri e non sarebbe successo nulla. La madre della ragazza, infatti, uscendo dal portone, si era diretta nel senso di marcia, e di buon passo era sparita lungo il marciapiede, alla fioca luce dei lampioni. Un danno evidente: la parte laterale della carrozzeria riportava i vari colori delle auto strisciate nella folle retromarcia. Che fare?
Dopo l’iniziale smarrimento, la calma prese a poco a poco il sopravvento. Ed ecco uscire da quel maledetto portone, ancora aperto, le due studentesse, eleganti come richiedono le grandi occasioni. S’aspettavano le luci della danza, invece, finimmo nell’appartamento che ci aveva prestato un amico, alla luce delle candele in quanto non eravamo riusciti a trovare il contatore che per sicurezza aveva staccato. Fu una serata tutta da scordare.
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