Un professore di filosofia del Liceo “Manin” di Cremona, noto a generazioni di studenti come l’unico insegnante che tentava di far capire le teorie filosofiche con esempi concreti, al termine della spiegazione rivolgeva alla classe domande apparentemente estranee al rigore che impone una disciplina come la filosofia. Gli alunni si ingegnavano nel rispondere, in quanto era chiaro che i quesiti non facevano parte del programma che si doveva aver studiato, ma sembravano un espediente per far arrivare la fine dell’ora. “Secondo voi – disse una volta camminando tra i banchi – Socrate, oggi, che macchina si sarebbe comprato?”.
Indicarono, nelle loro risposte, le marche e i modelli più disparati, ma tutti i tipi di auto scelti dagli alunni della prima A vennero bocciati dal professore, il quale, pose fine al baccano che si era generato tornando sulla cattedra e aprendo il registro, non di classe ma delle interrogazioni. Estratta la penna stilografica dal taschino, mise un 4 di fianco a ognuno dei nominativi dell’elenco. “Se foste preparati, dovreste sapere che il motore della conoscenza della realtà per Socrate era il dubbio”, spiegò con la calma che lo distingueva. “E, quindi, Socrate non avrebbe mai acquistato alcuna macchina perché ogni scelta gli avrebbe suscitato dei continui dubbi sulla validità del modello, impedendogli alla fine di prendere una decisione”, aggiunse con la sua voce baritonale.
L’applicazione pratica della filosofia, che era alla base del suo metodo d’insegnamento, aveva bisogno di altre esercitazioni. Qualche tempo dopo, in terza A, ricorse a una nuova verifica dell’efficacia del suo ostinato collegamento tra teoria e pratica. Interrogando un maturando, chiese a bruciapelo: “Secondo te, perché Kant non sarebbe mai passato col semaforo rosso?”. Il viso del giovane studente si illuminò per la semplicità racchiusa nella domanda, a cui si poteva rispondere senza aver studiato, tanto sembrava banale. “Per non essere investito”, rispose con sicurezza il ragazzo. L’insegnante guardò negli occhi l’interrogato con un’espressione che non prometteva niente di buono. “Vai a posto, ti metto 4!”. L’incredulità riempì la scolaresca, non solo il malcapitato. “Kant non sarebbe passato col rosso perché voleva che tutti rispettassero le norme della civile convivenza, anche se l’incrocio fosse stato deserto”, spiegò e aggiunse: “Rileggetevi la Critica della Ragion Pratica”. Deluso, il professore non si arrese e continuò a credere nell’efficacia delle sue spiegazioni, in cui cercava sempre di lanciare una fune per collegare la scuola alla vita, la teoria alla realtà, anche se i risultati erano deludenti.
Era l’ultimo giorno di scuola e l’inizio degli esami si avvicinava. Durante la lezione finale, senza lo spauracchio del voto, l’atmosfera in classe era quella di un divertente passatempo. Allora il professore chiese quale sarebbe stato il mezzo di trasporto moderno preferito da Dante Alighieri. Nel silenzio si alzò uno studente, uno dei meno bravi, piccolo di statura, timido e introverso. Rispose: “L’elicottero!”. Tra le risate dei compagni, il volto dell’insegnante ebbe quasi un’espressione di gratitudine. “Bravo!”, gli disse. E spiegò che nel canto XXVII dell’Inferno, Dante è il diretto protagonista di un volo, esperienza che non aveva precedenti nella realtà, sulla groppa di Gerione, orrendo mostro, che volava per mezzo di ali che gli permettevano di nuotare lentamente nell’aria e che, nello scendere, come scrive il poeta, compiva larghi giri all’interno delle pareti del burrone, proprio come fa un elicottero. Una volta a terra, lasciava scendere i passeggeri e volava via con la rapidità di una freccia. Il metodo del professore di filosofia aveva funzionato, non importa se in un’altra materia.
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