Sicurezza e fiscalità dovrebbero andare a braccetto: chi cura scrupolosamente la manutenzione della propria vettura dovrebbe poter detrarre i costi sostenuti così come un proprietario fa per le spese di ristrutturazione o di manutenzione del proprio immobile. Purtroppo in Italia non funziona così: l’auto è ancora il bersaglio preferito di una politica miope che demonizza la mobilità privata pur in assenza di un’alternativa valida e competitiva quanto a costi fornita dal settore pubblico.
Qualche esempio: da 13 anni a questa parte va in scena in Italia la campagna di prevenzione per la sicurezza stradale Vacanze Sicure, ma il progressivo invecchiamento del parco circolante (il 50% supera i 10 anni di età) e la carenza di manutenzione sulle vetture più anziane (e soprattutto sulle strade, sovente principali colpevoli di molte disgrazie) ha determinato un inatteso incremento del tasso di non conformità dei veicoli controllati dalla Polizia Stradale soprattutto per quanto riguarda la tipologia e lo stato degli pneumatici. Sostituire le coperture invernali con quelle estive non solo consente di ridurre il consumo di carburante e quello del battistrada alle temperature più elevate che si registrano nella bella stagione, ma permette anche di contenere gli spazi di frenata: a 50 km/h una gomma estiva in buono stato riduce lo spazio d’arresto su fondo asciutto del 25%, ossia di 4 metri, rispetto a una invernale, vale a dire il doppio della lunghezza delle strisce pedonali (su fondo bagnato la differenza si riduce al 18%).
Pensando alle conseguenze anche penali di un incidente stradale che causi ferite con prognosi di almeno 40 giorni, è inevitabile riflettere sull’opportunità di tenere la propria auto in perfetto stato, anche se si tratta della vecchia city-car che usano tutti in famiglia per lo più in città. Per questo sarebbe opportuno che almeno l’IVA sui ricambi auto legati alla sicurezza possa essere detraibile. Sogno? Dipende dall’efficacia della lobby automobilistica, ultimamente molto trascurata dalla politica. Anche l’ultima trovata, l’ipotesi di sostituire la tassa di proprietà o possesso con l’ennesimo incremento delle accise sui carburanti, sembra messa lì per sconcertare: si è detto che chi utilizza più frequentemente l’auto pagherebbe di più perché inquina di più e, secondo Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della CGIA di Mestre, a guadagnarci sarebbero i possessori di veicoli di grossa cilindrata che percorrono pochi chilometri. Un fatto positivo forse per i nostri amici collezionisti, ma probabilmente non era questa la finalità del legislatore, che andrebbe a penalizzare chi a bordo dell’auto lavora. Nel dettaglio, le proiezioni della CGIA sostengono che per veicoli benzina di 1,6 litri di cilindrata e diesel di 1,9 litri la soglia sotto la quale ci sarebbe un risparmio è rappresentata da una percorrenza di 20mila chilometri all’anno, mentre per un’auto a benzina di 1,2 litri questo limite si abbassa a 15mila chilometri. Per tutti coloro che invece di chilometri ne percorrono di più, l’abolizione del bollo in questi termini rappresenterebbe un costo maggiore di oggi, oltre a contenere perfino qualche elemento di iniquità sociale, visto che penalizzerebbe proprio le cilindrate inferiori e in genere il mondo del lavoro, in un Paese dove l’80% dei trasporti avviene su gomma.
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