E’ l’ultimo dei quattro prototipi realizzati dalla Casa di Newport Pagnell all’inizio degli anni Sessanta per cercare di opporsi alla superiorità della Ferrari nelle gare GT. Una linea meravigliosa ma un palmares scarno, a causa della precaria affidabilità meccanica. Aggiudicata da RM Sotheby’s per 21.455.000 dollari USA

Con un’aggiudicazione a oltre 21 milioni di dollari, l’Aston Martin DP215 è stata la seconda vettura più costosa a passare di mano durante l’asta di fine agosto organizzata da RM Sotheby’s a Monterey, a margine del concorso d’eleganza di Pebble Beach. Prezzo finale ben superiore alle stime d’asta e molto elevato in assoluto, ancorché pagato per un’auto di rara bellezza e, senza prova di smentita, unica. Perché la DP215 è una one-off, la più significativa nella produzione di auto da competizione della Casa di Newport Pagnell. E perché la sua storia sportiva parla da sola, molto più del suo palmares agonistico che la dea bendata non ha voluto far brillare quanto le premesse avrebbero lasciato intendere.

L’Aston Martin dell’era di David Brown ha alcune affinità con la Ferrari di fine Anni Cinquanta – inizio anni Sessanta. Innanzitutto l’impostazione tecnica, classica, dei suoi modelli, con motore anteriore e trazione posteriore, comune alle 250 GT e GTO così come alle DBR1 fino alle DBR4 e alle DB4 GT, modello reso ancor più celebre dalla versione sportiva carrozzata da Zagato. In secondo luogo lo stile, filante, muscoloso e sinuoso, al punto che la 250 GTO (e le derivate 330 GTO e 330 LM) e le granturismo della serie DP si somigliano significativamente. Con la chiusura del reparto corse alla fine del 1960 l’Aston Martin si indirizzò verso la produzione di vetture sportive stradali, così da mettere a frutto – commercialmente parlando – i successi ottenuti nel Campionato del Mondo Sport del 1959, tra cui le vittorie alla 24 Ore di Le Mans, al RAC Tourist Trophy e alla 1000 Chilometri del Nürburgring. Tutto ciò senza lasciare del tutto le competizioni, affidate però alle scuderie private e ai piloti-gentleman. La pausa durò però ben poco, in quanto i concessionari europei spinsero David Brown a rientrare ufficialmente sulla scena con vetture granturismo da competizione. Sulla base della DB4 GT vennero quindi sviluppati quattro prototipi, di cui alcuni esemplari unici, con l’obiettivo di riportare la Casa di Newport Pagnell a una presenza ufficiale nelle corse più prestigiose.

Il primo “Design Project”, siglato DP212, fu concepito e messo in opera in 5 mesi e riprendeva il telaio e la meccanica della DB4 GT, pur con qualche differenza. In primo luogo, lo chassis fu allungato di un pollice e riprogettato come telaio scatolato. Completamente differente era invece la carrozzeria, slanciata e aerodinamica nello stile, leggera alla prova della bilancia, grazie al largo impiego di leghe di alluminio e magnesio per contenere il peso. Grazie anche alla cilindrata maggiorata e ai tre carburatori Weber la DP212 era in grado di raggiungere una velocità massima di 175 miglia orarie (oltre 281 Km/h) e, alla 24 Ore di Le Mans del 1962, affidata a Graham Hill e Richie Ginther, si piazzò quinta sulla griglia di partenza. Facendo tesoro delle indicazioni dei piloti reduci da Le Mans e delle critiche successive ai test alla galleria del vento MIRA, gli ingegneri dell’Aston Martin aggiunsero uno spoiler posteriore e modificarono il frontale abbassandolo sensibilmente. In tal modo la direzione per le successive Project Cars era stata tracciata. Per la stagione 1963 vennero allestite due vetture DP214, frutto dello sviluppo della DP212 indirizzato a opporsi alla superiorità delle Ferrari 250 GTO. Per ottenere l’omologazione sportiva nella classe GT avrebbero dovuto mantenere il numero di telaio di una DB4 GT, mentre per risultare competitive in gara sarebbe stato necessario ridurre sostanziosamente il peso e sfoggiare un’aerodinamica più che mai efficace. Così lo chassis delle DP214 risultò profondamente diverso da quello originale: vuoi perché la parte scatolata fu forata in molte parti per ridurre la massa vuoi perché vennero aggiunti pannelli di alluminio alla base. Il risparmio di peso rispetto alla DP212 si poté misurare in 13 kg e in 200 kg rispetto a una DB4 GT di serie. In più il motore fu arretrato di ben 8 pollici per aumentare la deportanza. La carrozzeria fu dotata di un’aerodinamica più efficace grazie al musetto ribassato e allo spoiler posteriore che donarono alla DP214 una linea meravigliosa. A un ulteriore incremento di potenza si accompagnò l’adozione del cambio David Brown S432 a 4 marce. Nella loro carriera sportiva le DP214 ottennero vittorie alla Coppa Intereuropa a Monza (con Roy Salvadori vittorioso nel duello contro la 250 GTO ufficiale di Mike Parkes) e alla Coupe de Paris, oltre a terminare sul podio in altri eventi.

DESIGN PROJECT 215
Un’ulteriore evoluzione tecnica e aerodinamica portò poi alla Project Car DP215, ultima Aston Martin da competizione realizzata internamente dalla Casa inglese per imporsi nella categoria GT. Ordinata da John Wyer, progettata da Ted Cutting, dotata di un motore concepito da Tadek Marek e pilotata da Phil Hill, raccolse intorno a sé le migliori energie allora disponibili per riportare a Newport Pagnell il successo nella 24 Ore di Le Mans. Curioso notare che il progetto prese il via solo 2 mesi prima della gara e che John Wyer mise a disposizione un budget di sole 1.500 sterline. La sfida tecnica poté realizzarsi solo per l’ambizione di Ted Cutting, che riteneva indispensabile portare a termine il progetto per mettere in mostra il suo incredibile genio automobilistico. Anche se concepita per accogliere il motore V8 che Marek stava sviluppando in quel periodo, la DP215 ricevette un’ulteriore evoluzione del 6 cilindri della DP212, portato per l’occasione a 4 litri di cilindrata, dotato di doppia accensione e lubrificazione a carter secco, e montato in posizione ancor più arretrata, per ottimizzare il baricentro dell’auto e la ripartizione dei pesi tra gli assali. L’aerodinamica si rivelò subito molto efficace, al punto che sul rettilineo di Le Mans la DP215 fu la prima auto a superare ufficialmente i 300 km/h, arrivando a 198,6 miglia orarie, praticamente 320 km/h, nelle mani di Phil Hill e di Lucien Bianchi. Ma anche il telaio mantenne le promesse e la DP215 non solo seppe rivelarsi più veloce di 6 secondi rispetto alla 330 LM iscritta alla 24 Ore di Le Mans del 1963 e di 12 secondi sulla migliore delle 250 GTO, ma riuscì a inserirsi durante le prove ufficiali tra i prototipi Ferrari a motore posteriore. I sogni di gloria della squadra di John Wyer durarono però solo due ore perché il cambio CG537 della DBR1 cedette a causa della poderosa coppia del motore 4 litri, obbligando l’equipaggio dell’Aston Martin a un prematuro ritiro.

Un altro ritiro da leader della classifica provvisoria si verificò alla 4 Ore di Reims del mese successivo, quando Jo Schlesser – favorito assoluto della gara – fu costretto alla resa mentre era in prima posizione per il cedimento del motore, dovuto a un fuorigiri innescato da problemi al cambio. A quel punto venne preparato e reso disponibile il cambio originariamente concepito per la DP215, il modello S532. L’auto fu così iscritta al Brands Hatch Guards Trophy ma non prese il via per ragioni burocratiche e perse l’ultima occasione di iscrivere un successo nel suo palmares, visto che a novembre del 1963 il reparto corse Aston Martin Racing Department fu ufficialmente chiuso. A quel punto la Casa vendette le Project Cars ma non la DP215 che restò nelle sue disponibilità per condurre eventuali test in vista di un possibile rientro nelle competizioni dal 1965. Ma anche questa ipotesi tramontò dopo che la vettura fu coinvolta in un grave incidente sull’autostrada M1 durante test notturni.

Nel 1974 Malcon Calvert acquistò la DP215 dall’Aston Martin prendendo atto del fatto che parecchie componenti originali non erano più presenti nell’auto: dal motore 4 litri, venduto al pilota privato Colin Crabbe per la sua DP214, al cambio S532, disperso. Calvert, residente nell’isola di Wight, diede pertanto il via a un restauro così complesso che venne poi proseguito dai successivi proprietari, mentre lui si accontentò di utilizzare l’auto – dotata di un motore DB6 e di un cambio ZF – su strada prima di rivenderla nell’aprile del 1978. Il restauro fu così proseguito da Nigel Dawes, noto collezionista di Aston Martin, che volle riportare la DP215 alle condizioni originali. Grazie anche alla consulenza di Ted Cutting, il progettista dell’auto, venne ritrovato il motore originale finito in una delle due DP214 e reinstallato nel vano anteriore dell’auto, anche se in abbinamento a un sistema di lubrificazione a carter umido. In seguito fu acquistato un motore Cooper-Aston Martin di 4,2 litri di cilindrata e risistemato per accogliere il carter secco, mentre i carburatori originali 50 DCO della Weber furono ritrovati in un secondo tempo. Nel contempo, proseguivano i lavori di restauro della carrozzeria e dell’abitacolo. Dawes arrivò a possedere la DP215 riportata in condizioni originali, salvo che per il cambio S532 e per il motore. Nel 1996 Dawes vendette la DP215, ormai in condizioni di circolare regolarmente su strada e di ben figurare in pista, al pilota di auto storiche Anthony J. Smith che la impiegò tra l’altro al Festival of Speed di Goodwood e al Tourist Trophy Revival finché, nel 2002, la scambiò con una Ferrari di Formula 1. L’ultimo proprietario, colui che l’ha messa in vendita all’asta di RM Sotheby’s, completò poi il restauro facendo ricostruire il cambio S532 utilizzando più di mille componenti prodotte ad hoc e ripristinando le parti che erano state modificate per alloggiare lo ZF presente al momento dell’acquisto. Quanto al motore originale, il 400/215/1, fu ritrovato a sua volta e acquistato, cosicché la DP215 – a installazione completata – venne finalmente a ritrovarsi nel suo stato originale.

Chi ha acquistato la DP215 si trova ora in possesso di una delle auto da competizione degli Anni Sessanta più affascinanti nell’estetica e più avvincenti nel sound del motore, a dispetto di un palmares che, per la cronica mancanza di affidabilità, non fu all’altezza delle attese riposte in quest’auto da David Brown, dai piloti e da John Wyer che l’aveva sostanzialmente commissionata a suo tempo.

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