Nel millenoventocinquantanove l’eccessivo rigore sociale vietava alle ragazze di parlare con i ragazzi in pubblico per timore che le chiacchere della gente insinuassero che stesse nascendo qualcosa di tenero e che la loro reputazione fosse compromessa. Il divieto di colloquio veniva osservato soprattutto nelle piccole località, dove tutti si conoscevano e le chiacchere potevano rapidamente arrivare all’orecchio dei genitori.
Ma gli adolescenti, incapaci di tenere sotto controllo la vampa delle prime passioni, escogitavano soluzioni per incontrare la ragazza del primo amore in luoghi fuori paese, al riparo dai pettegolezzi. L’incontro nella galleria del Supercinema, un edificio che sorgeva in via Palestro a Cremona, era considerato il più adatto allo scambio segreto di effusioni, in quanto la prima proiezione del film, alle 14 e 30 nei giorni feriali, era quasi priva di spettatori. La probabilità di incontrarvi qualche compaesano era pressoché nulla perché tutti erano al lavoro.
Gianfranco, uno studente della terza liceo scientifico, rampollo di una famiglia di commercianti di Persichello, località a cinque chilometri dalla città, dove si recava ogni giorno per la scuola, era riuscito, dopo un lungo corteggiamento, a strappare qualche bacio a Federica, una coetanea, vicina di casa, che frequentava le magistrali. La domenica pomeriggio, dopo la dottrina, ragazzi e ragazze potevano stare insieme nel cortile delle suore nell’interno dell’oratorio. Qui era nata l’intesa amorosa tra i due giovani, che si concretizzava in rapidi abbracci e, raramente, in qualche bacio. Dopo qualche mese, la situazione sentimentale era matura per qualche sensazione più audace e a Gianfranco venne l’idea di portare la ragazza al cinema, il martedì, al primo spettacolo. Lì, nella galleria semivuota e buia del Supercinema, avrebbe potuto ottenere qualche cosa in più del semplice bacio. Strappare il sì a Federica non fu facile. Dovette insistere per giorni e giorni, sciogliere tutte le sue paure, convincerla che nessuno li avrebbe visti, promettere di entrare a proiezione appena iniziata quando le luci in sala erano già state spente, di uscire separatamente poco prima della fine del film.
Il 7 aprile di quell’anno, alle 14 e 25, Federico salì lo scalone che portava alla galleria e, fermatosi davanti alle pesanti tende di velluto verde scuro che isolavano l’area delle poltroncine, attendeva Federica, in preda a una crescente agitazione. Dopo interminabili minuti con lo sguardo incollato alla vetrata dell’ingresso temendo che avesse cambiato idea, la vide salire i gradini. Indossava una sottana multicolore a pieghe che, avanzando, faceva ondeggiare sapientemente, una camicetta bianca che il seno gonfi ava e sandali neri, che lasciavano scoperte le dita dei piedi. Sul volto una sottile linea sulle palpebre le incorniciava gli occhi neri, le labbra ben disegnate risaltavano senza bisogno di rossetto. La prese per mano, spostò il tendone, e il buio li avvolse. La strinse a sé e la baciò proprio mentre una sequenza del fi lm rischiarava la scena e l’intera galleria apparve quasi completamente deserta, con due coppiette, una a sinistra e l’altra a destra, entrambe nell’ultima fila. Presero posto al centro e subito si scambiarono baci e carezze con la
foga degli adolescenti innamorati.
Non avevano calcolato che tra il primo e il secondo tempo c’era un breve intervallo in cui le luci in sala venivano accese. Fu un momento di grande apprensione perché gli spettatori in quei pochi minuti, si potevano vedere in faccia. Lei fece un sospiro di sollievo perché alle due coppiette si era aggiunto soltanto uno spettatore solitario, laggiù in prima fi la. Il film mostrava come si costruisce un’automobile, la Fiat 1400, essendo la trama incentrata sulla vicenda lavorativa di un giovane emigrato dal Sud che aveva trovato lavoro alla Fiat. Poco prima della fine, uscendo, sostarono di nuovo nell’atrio buio della galleria, e qui le effusioni raggiunsero l’intensità dell’addio che precede la separazione. L’appuntamento al cinema continuò nelle settimane successive, sempre di martedì al primo spettacolo, senza essere visti da nessuno del paese.
Col passare del tempo e dei fi lm, le manifestazioni d’affetto crescevano in audacia e piacere. Qualche tempo dopo venne replicata la serie dei fi lm di Don Camillo e Peppone e a ogni proiezione si riempiva la sala di gente, tranne che al martedì, quando gli spettatori erano sempre molto scarsi. La riproposta dei film di Don Camillo non aveva interrotto l’appuntamento del martedì pomeriggio, il desiderio aveva ormai vinto la prudenza. Ma non si accorsero che quel martedì pomeriggio che precedeva la festa del 2 giugno era considerato quasi festivo. Le luci dell’intervallo li sorpresero perdutamente abbracciati. Quando si ricomposero, incrociarono lo sguardo allibito di uno spettatore: era l’arcigno padre della ragazza, venuto a vedere il “Ritorno di Don Camillo”.

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Sperangelo Bandera

Sperangelo Bandera

Giornalista professionista, per 18 anni corrispondente del Corriere della Sera, oggi è Vice direttore di AutoCapital. Mosso dalla passione in tutto ciò che fa, scrive e descrive solo le automobili che guida per amore: conta forse altro nella vita?

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