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Nasceva trent’anni fa la più moderna delle Lamborghini classiche. Estrema a tutti i livelli, velocissima e con una linea da favola, ha fatto sognare gli appassionati negli anni ’90, di cui rappresenta un’icona assoluta.

Foto cortesia Automobili Lamborghini

Trent’anni e non sentirli. A guardarla si fatica a crederlo, eppure anche la Diablo sta passando dal limbo delle “youngtimer” al novero delle auto d’epoca. La sua linea, infatti, non accenna a invecchiare, e suscita intatte emozioni da dream-car, venendo subito riconosciuta come una creatura di Sant’Agata. D’altronde, per un’intera generazione la Diablo è stata “La” Lamborghini, l’unica, essendosi caricata da sola sulle spalle i listini, e i destini, del marchio per tutti gli anni ‘90, durante i quali l’azienda è passata attraverso cambi di proprietà e momenti di crisi, per approdare infine alla rinascita e alla solidità garantite dall’Audi. E anche le sue prestazioni sono attuali: ancora oggi per impensierirla ci vuole una vera supercar, e quando compare la sua sagoma negli specchietti, la corsia di sorpasso viene liberata in un batter d’occhio, come sempre. Eppure sono già passati tre decenni, e forse è meglio non pensarci troppo, pena sentirsi davvero vecchi.

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La Diablo viene presentata nel 1990, quando la Lamborghini gravita nell’orbita della rampante Chrysler di Lee Iacocca, ma in realtà il progetto “P132” inizia cinque anni prima, ancora sotto la proprietà dei fratelli Mimran. La missione è dare un’erede alla Countàch, ma lo sviluppo procede a rilento: così l’arrivo dei dollari Chrysler rappresenta la svolta per portarlo a compimento. I manager statunitensi lasciano una certa autonomia agli italiani: l’ingegner Luigi Marmiroli cura la parte tecnica, mentre lo stile viene affidato a Marcello Gandini, designer abituale Lamborghini, che opera in proprio, e non più per Bertone. Le linee dei primi prototipi, tuttavia, vengono giudicate troppo “estreme” (perfino per una Lambo!) dalla dirigenza americana, così Gandini deve confrontarsi con il Centro Stile Chrysler per addolcirle: il risultato finale, dall’aria futuristica e con grande attenzione all’aerodinamica, sarà comunque di grande impatto estetico. Ma i tempi inevitabilmente si allungano: viene nel frattempo presentata la Countàch 25° Anniversary, e così l’arrivo della nuova vettura slitta all’inizio del 1990, ancora in tempo, comunque, per intercettare il boom delle supercar a cavallo dei due decenni. Il nome “Diablo”, consono al temperamento dell’auto, si ispira come sempre alla tauromachia, e viene scelto coinvolgendo anche i dipendenti. A livello motoristico, il V12 viene portato a 5,7 litri con tutta una serie di novità tecniche, la più importante delle quali è l’introduzione dell’iniezione elettronica, resa ormai indispensabile dalle norme sulle emissioni: la casa del Toro decide di progettarla da sé, invece di ricorrere ai fornitori del settore. Grazie ai 492 CV di potenza, la Diablo raggiunge sull’anello di Nardò i 325 km/h, che la rendono l’auto stradale più veloce al mondo, a cui bastano 4 secondi per arrivare a 100 km/h.

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La Diablo primordiale è una sportiva dura e pura, interamente votata alle prestazioni e alla guida maschia, che nessuno può accusare di imborghesimento rispetto ai canoni abituali Lamborghini: non solo mancano servosterzo e ABS, ma le esigenze di contenimento pesi portano a rinunciare a molti accessori utili al comfort. Nel solco della tradizione rimangono le portiere che si aprono a forbice verso l’alto, e la complicata visibilità posteriore: non essendo ancora diffuse le telecamere, per parcheggiare in retromarcia è consigliabile sedersi sul brancardo a portiera alzata, per avere una visione diretta degli ingombri, che sono generosi, soprattutto in larghezza. Alla presentazione la Diablo fa il pieno di ordini, saturando i primi due anni di produzione, ma nel 1991 la bolla delle supercar si sgonfia, le vendite si raffreddano e così in Lamborghini inizia lo sviluppo di una serie di nuove versioni che andrà avanti per l’intero ciclo vitale del modello.

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Le prime novità arrivano nel 1993 e sono di segno opposto: da una parte una versione più “trattabile”; dall’altra una ancora più estrema. La Diablo VT è la prima Lamborghini a trazione integrale, con un giunto viscoso capace di trasferire fino al 25% della coppia all’asse anteriore in caso di perdita di aderenza, a tutto vantaggio della guidabilità, soprattutto per i piloti meno esperti. Altre migliorie sono l’adozione del servosterzo e una maggiore compattezza della palpebra strumenti. La “Special Edition 30”, celebrativa del trentesimo anniversario Lamborghini, purtroppo rattristato dalla scomparsa del fondatore Ferruccio, è invece una Diablo RWD alleggerita di 125 kg e perciò ancora più spartana negli allestimenti, per esaltare al massimo le prestazioni grazie ai 525 CV, che possono arrivare a 600 con il pacchetto opzionale “Jota”.

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Due anni dopo verrà introdotta la versione VT Roadster con tetto asportabile, ma nel frattempo un’importante novità interessa l’azienda: a inizio 1994 la Chrysler, in crisi, cede la Lamborghini alla fumosa società indonesiana Megatech. La quale, a fronte di roboanti proclami, non investe risorse per nuovi progetti, quindi la creazione di ulteriori versioni della Diablo rimane l’unica carta a disposizione per tenere viva l’azienda. Arriva così la “SV”, che riprende il celebre acronimo della Miura, con 520 CV di potenza e alcune novità tecniche ed estetiche; nel ‘98 debuttano i nuovi fari carenati al posto di quelli a scomparsa, ormai fuori moda sulle supercar. Ma il 1998 è ricordato per un motivo assai più importante: la Lamborghini viene acquistata dal gruppo Volkswagen, che ne affida la gestione all’Audi. Dopo anni di incertezze, finalmente a Sant’Agata si può pensare in grande, facendo affidamento sulle risorse di uno dei primi gruppi automobilistici mondiali. E prima di partire con i progetti futuri, anche la nuova gestione non manca di apporre la firma sulla storia di questo modello. Nel 1999 viene presentata la Diablo GT, con la versione da competizione GTR: il V12 è portato fino a sei litri di cilindrata per una potenza di 575 CV.

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Sull’esempio della GT, nel 2000 viene operato sulla VT il più importante restyling di tutta la storia del modello, che genera la Diablo 6.0: una supercar ormai matura, razionalizzata dalle sinergie di un grande gruppo. A chiudere la storia, è la 6.0 Special Edition, prodotta in poche decine di esemplari in due specifici colori metallizzati, insoliti rispetto a quelli sgargianti tipici delle Lamborghini. La produzione della Diablo termina nel settembre del 2001, all’arrivo dell’erede Murciélago.

Lamborghini Diablo 6.0SE 2001 in Tuscany 2020

In totale, tra tutte le versioni, ne sono state prodotte 2903, un terzo delle quali prima serie, che rimane la versione più diffusa, e questo, insieme al timore di possibili “difetti di gioventù”, ne mantiene le quotazioni più avvicinabili, pur trattandosi della Diablo stilisticamente più pura, soprattutto se priva dell’ala posteriore. I modelli successivi, più affinati e rari da trovare, richiedono cifre di acquisto decisamente superiori. Quotazioni molto alte hanno le versioni supersportive SE 30, SV e soprattutto GT, mentre anche la 6.0, per la sua rarità unita al fatto di essere la più evoluta delle Diablo, è piuttosto ambita e si mantiene su prezzi elevati. Acquistare una Diablo oggi, alle soglie della storicità, non è più l’affarone di una decina di anni fa, quando (in particolare la prima serie) si era fisiologicamente deprezzata: da allora le quotazioni hanno registrato notevoli rialzi. Tuttavia, anche in chiave futura, i contenuti tecnici e stilistici del modello rimangono elevatissimi, uniti alla consapevolezza di mettersi in garage (che per ospitarla deve essere piuttosto ampio) una pietra miliare del marchio, ultimo prodotto di una Lamborghini artigianale e povera di risorse, ma proprio per questo di un certo fascino romantico presso gli appassionati.

 

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Claudio Ivaldi

Claudio Ivaldi

Giornalista, esperto di auto sportive italiane, con una predilezione per i marchi emiliani, di cui ama approfondire la storia. La passione per le belle auto gli è nata durante l'infanzia, proprio grazie ad AutoCapital.

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